Procreazione medicalmente assistita: come può funzionare?

Oggi la medicina e la scienza offrono possibilità che erano persino impensabili fino a venti anni fa. La dott.ssa Chiara Granato ci racconta in che modo si può far funzionare il difficile percorso verso la procreazione medicalmente assistita.

Quest’anno si festeggia il quarantenario della nascita di Louise Brown (la prima bimba nata da una tecnica di fecondazione in vitro negli USA), eppure quando nacque Louise non si poteva neanche lontanamente immaginare dove sarebbe arrivata la scienza.
Ci riferiamo a tutte le metodiche che prevedono la crioconservazione dei gameti e degli embrioni, o che prevedono l’estrazione spermatica dai testicoli. Metodiche che rendono possibile una gravidanza in presenza di problematiche anche severe degli apparati di riproduzione dell’uomo e della donna.

E’ un tema complesso e lo affronteremo a piccoli passi con l’aiuto di un’esperta che, nell’intervista di oggi, ci spiega quali sono i presupposti funzionali indispensabili per applicare una tecnica di procreazione assistita, tenendo conto prima di tutto del benessere della coppia.

“Rispetto all’universo dell’offerta terapeutica degli oltre 340 centri di fecondazione, censiti dal Registro Nazionale Procreazione Medicalmente Assistita (o PMA), vi è un evidente disorientamento delle coppie. Oltre ad una ampia ed articolata offerta di servizi difficili da comprendere nella loro essenza ed efficacia, le coppie mostrano spesso scarsa fiducia nei medici della riproduzione e nei Centri in cui essi operano. Il primo scoglio è dunque quello di recuperare fiducia quando in realtà tutto sembra perso. E’ uno scoglio emotivo che grava sui pazienti, sui medici e, soprattutto, sulla comunità e che, alla luce della mia esperienza, porta le persone a chiudersi, isolarsi, a nascondere il problema agli stessi familiari e a preferire di non accogliere la sfida della procreazione assistita”, ci racconta la dott,ssa Granato.

“Nelle stanze dei Reparti di Fisiopatologia della Riproduzione Umana degli ospedali pubblici regna la delusione delle coppie verso la propria condizione. Si prova rabbia quando ci si deve sottoporre a tecniche particolarmente invasive, intese come ultima strada da percorrere. Si mette anche in discussione lo stesso rapporto di coppia a causa del peso psicologico e del principio etico della gradualità delle tecniche”.

Come si superano la rabbia, la paura, la sfiducia?

“Si superano affrontandole insieme. I professionisti della riproduzione devono preparare le coppie attraverso la condivisione completa dell’impegno che li attende. Occorre fare squadra. È per questo che considero la mia attività di consulenza finalizzata ad integrare un percorso che va dall’informazione all’orientamento, dall’assistenza nell’iter diagnostico e terapeutico fino al supporto emotivo. Il tutto finalizzato all’ottenimento di una gravidanza. La coppia non deve mai sentirsi sola in tutto il suo percorso”.

Potrebbe sembrare semplice, è un iter che si ripete con tutte le coppie, ci si abitua, non è così?

“Non direi. Nel corso di questi anni da professionista nel settore ho cercato di tracciare dei macro-profili per individuare tratti comuni, fallendo ripetutamente nel tentativo di applicare una logica standardizzata per casi rassomiglianti. Il risultato? Nessuna coppia è come un’altra. Occorrono lunghe conversazioni solo perché ci si apra senza sentirsi offesi. Occorre empatia e capacità di condivisione della frustrazione che si vive nel sentirsi privati di una parte importante del proprio progetto di vita. E infine, soprattutto, occorre il tempo per ascoltare e spiegare quali sono le possibilità, i rischi e le opportunità per condurre la coppia ad una scelta consapevole”.

Su queste basi il percorso per la procreazione medicalmente assistita può funzionare, confidando ciecamente nella possibilità di
superare i problemi di infertilità con il supporto e la guida di medici esperti.

Grazie ancora una volta alla dott.ssa Chiara Granato,che potete continuare a seguire su www.chiaragranato.it.

Smile

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