Enfant prodige, parliamone

Gli enfant prodige, o bambini prodigio che dir si voglia, non sono poi così rari. In cosa e come si esprime la prodigiosità? Quali sono le aree di rischio e come gestirle? Un po’ di riflessioni in questo post.

Mi sono imbattuta in un tema: quello dei bambini prodigio. Guardo Riccardo crescere e mi stupisco di alcune cose che fa. Ho la preoccupazione che possa fare troppo presto delle cose, come camminare, acquisire abitudini pericolose per la sua età, avvertire il dolore, la sofferenza o semplicemente perdersi attimi di spensieratezza. La spensieratezza che io associo alla felicità dell’incosciente.

Pensateci un attimo. Tutte le volte che facciamo qualcosa in modo inconsapevole, con un pizzico di ingenuità e di incoscienza, recuperiamo parte di quella fanciullezza perduta e viviamo un pizzico di felicità.

Vengo al punto.

I bambini prodigio e la memoria

I bambini prodigio sono bambini che hanno sviluppato abilità fisiche o intellettive più avanzate rispetto alla media dei bambini della loro età.

Ma sono bambini.

La prodigiosità può essere innata o coltivata mediante stimoli ripetuti. Nel secondo caso parliamo di bambini che sono stati indotti a sviluppare delle abilità attraverso l’esercizio.

In ogni caso la forza del prodigioso è spesso associata alla capacità di memorizzazione.

La memoria è un punto focale del nostro intelletto. Senza memoria valiamo poco, invecchiamo. Sono convinta che qualsiasi talento possa esplodere e qualsiasi abilità svilupparsi attraverso la memoria. Se leggi questo post e puoi dimostrarmi che mi sbaglio, ti prego scrivimi. Parliamone.

I rischi della prodigiosità

Provo ad immedesimarmi.

Sono un bambino prodigio, faccio calcoli matematici in due secondi, oppure corro i cento metri da record del mondo, o magari so recitare come le star di Hollywood, oppure suono e compongo musica come Allevi. Faccio una di queste cose, sono davvero bravo. Ma…

…non riesco a confrontarmi con i miei coetanei, vivo prima del tempo il mondo degli adulti che talvolta neanche mi capiscono;

…non riuscirò a migliorarmi all’infinito. Prima o poi gli altri mi raggiungeranno perché il mio talento è stato bruciare le tappe, ma le tappe gli altri le hanno vissute in tempi e modalità “normali” ed arriveranno anche ai miei risultati;

…ho lasciato indietro pezzi di spensieratezza, di gioco ed ingenuità che non potranno tornare. Il tempo e la vita sono le sole cose che non ci possono essere restituite;

…qualche mio coetaneo mi invidia, qualche altro mi vede come qualcuno facile da prendere in giro;

…anche qualche adulto mi invidia e mi prende in giro.

Sembra una catastrofe cosmica, una strada senza via d’uscita. Eppure sono un tipetto talentuoso, c’è da essere fieri ed orgogliosi.

Come si esce da questa impasse?

Equilibrare gli stimoli, coltivare l’umiltà

Madri, padri e curiosoni che mi leggete: moderazione. Non ci sono altre formule se non quella della ricerca di un equilibrio.

Assecondare da un lato le inclinazioni del pupo; non forzare, non ritenere inutili alcune tappe fondamentali della vita dall’altro.

Bisogna fornire stimoli con equilibrio e cercare di capire che il bambino ha bisogno di sviluppare una coscienza.

Senza coscienza non farà mai la scelta giusta per se stesso, ma soltanto quella imposta dagli altri. E poi? Si ritroverà, magari più tardi dei suoi coetanei come in un effetto boomerang, a voler cambiare strada e a dover ripartire per fare ciò che davvero gli è congeniale.

Ho visto alcune interviste di bambini prodigio. Laureati già in adolescenza (non in Italia chiaramente) ma che poi hanno ripreso un nuovo percorso universitario per studiare ciò che davvero li animava dentro. A 7 anni di età puoi saper fare calcoli spaventosi, ma non avere la coscienza di decidere cosa vuoi fare da grande. Poi cresci, maturi, lo scopri e devi ammettere di aver investito energie in un talento che non ti rende felice.

Se fossi la mamma di un piccolo genio oltre a stare attenta a fornire stimoli con equilibrio per favorire la scoperta autonoma e libera (e quindi la formazione del “gusto” personale), cercherei di evitare di instillare nel bambino il senso di superiorità.

Il bambino ha bisogno che qualcuno lo aiuti a sperimentare con libertà e a porsi nei confronti degli altri in un’ottica di servizio e condivisione. Sentirsi e mostrarsi superiori isola dalla società. Utilizzare la superiorità al servizio degli altri, con umiltà, fa crescere e sviluppare realmente la coscienza.

Scuola e prodigi

Chiudo con una riflessione collegata al mondo della scuola. La scuola ha il suo ruolo nel mondo della prodigiosità. Ci sono bambini il cui talento non viene riconosciuto oppure viene riconosciuto soltanto dopo forti disagi ai danni del bambino. La scuola deve saper intercettare il talento senza interpretarlo come iperattività, svogliatezza o addirittura malattia.

E poi c’è il dubbio amletico: una volta intercettato il prodigio è giusto che gli siano concessi spazi di libertà come frequentare scuole speciali o saltare gli anni scolastici?

All’estero puoi laurearti in età preadolescenziale ed esistono istituti per prodigi.

In Italia puoi saltare la prima elementare (recuperando un anno). Dopo tre anni di scuole superiori puoi presentarti alla maturità (recuperando due anni). Puoi anticipare gli esami all’università fino ad un anno. Quindi si recupera complessivamente al massimo un quadriennio laureandosi a 20 anni alla specialistica. Non ci sono scuole specifiche per seguire bambini plusdotati.

Ho difficoltà a sviluppare un pensiero coerente su questo argomento. Certe situazioni bisognerebbe viverle. Il mio pensiero corre su due binari paralleli: una parte di me pensa che un bambino con un quoziente intellettivo o un talento oltre la media non potrà mai stare bene tra i normodotati. Ma l’altra parte di me pensa che anche lontano dalla “normalità” il plusdotato non potrà stare bene. La “normalità” è la realtà. E’ una questione statistica. Prima o poi il bambino dovrà farci i conti e farlo senza averla vissuta sarà per forza più impattante. Mi rivedo costretta a ricongiungere i binari sulla strada maestra dell’equilibrio e dell’umiltà.

A cosa serve, nello specifico, una laurea all’età di 11 anni? Uno Stato che ammette questa possibilità è uno Stato che deve assumere su di se’ la responsabilità sul futuro del bambino, verificando i percorsi possibili e l’inserimento nella vita reale. Viceversa meglio non avere questa scelta.

Infatti in Italia la scelta non c’è.

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